RIFUGIO MEZZALAMA
Il Rifugio Mezzalama è uno dei più noti della Val d’Ayas, arroccato a quota 3.036 metri su uno sperone di roccia alle pendici del Castore e del Polluce, due cime simbolo del massiccio del Monte Rosa.
Dedicato a Ottorino Mezzalama, alpinista, sciatore e accademico del CAI torinese scomparso tragicamente nel 1931, il rifugio rappresenta da decenni una delle tappe classiche per escursionisti e alpinisti diretti verso i ghiacciai del Rosa.
Il sentiero per raggiungerlo parte da Saint-Jacques, piccolo borgo a fine valle, e inizialmente non presenta grandi difficoltà. Si inizia a salire tra boschi e pascoli fino al Pian di Verra inferiore, per poi seguire il sentiero che porta al celebre Lago Blu, uno bellissimo specchio d’acqua, ma dal nome piuttosto ottimistico, considerato che il suo colore, a ben guardare, tende decisamente più al verde. (Probabilmente, chi lo battezzò non era consapevole del proprio daltonismo… chi lo sà)
Proseguendo lungo il sentiero, si attraversa il letto del torrente Évançon, mentre di fronte si apre l’imponente morena lasciata dal ghiacciaio che, nei secoli passati, riempiva l’intera conca. Oggi resta solo la sua impronta monumentale, a ricordarci quanto il paesaggio alpino sia vivo e in continua trasformazione.
Raggiunto il Pian di Verra superiore, il gioco comincia a farsi serio: da qui al rifugio restano circa 700 metri di dislivello in 3,5 km — numeri che fanno capire subito che il tratto “turistico” è appena terminato.
Durante la salita, può capitare di incontrare stambecchi tranquilli ai bordi del sentiero, talmente disinteressati alla presenza umana da sembrare più intenti a posare per una foto che a brucare l’erba.
L’ultimo tratto, affettuosamente soprannominato dagli escursionisti “l’ammazzacristiani”, mette alla prova le gambe e la forza di volontà. Ma appena il rifugio appare in cima al costone, il panorama grandioso e la consapevolezza di avercela fatta cancellano ogni fatica.
Come in ogni salita alpina, ciò che ripaga lo sforzo è sempre lo stesso: l’aria sottile, il silenzio rotto solo dal vento, i ghiacciai vicinissimi, e quella sensazione di poter toccare il cielo — o almeno, di averci provato con convinzione.